Uomini che uccidono: siamo davvero la specie più propensa alla violenza?

L'essere umano è incline alla violenzaL’homo sapiens è l’unica creatura capace di uccidere i propri simili. Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Nature, questa affermazione è soltanto un luogo comune. L’equipe di scienziati spagnoli, guidati dal ricercatore dell’Università di Granada Josè Maria Gomez, ha percorso la storia a ritroso per scovare le radici della violenza umana. Il risultato? L’uomo è violento, ma le altre specie non sono da meno. “E’ noto come l’aggressività verso i propri simili sia diffusa in molti altri mammiferi, come i primati, e persino in animali apparentemente pacifici, come i criceti o i cavalli” ha dichiarato Gomez. La violenza umana ha quindi radici antiche: è il risultato dell’evoluzione naturale e risiede fin dalla Preistoria nei nostri cromosomi. Secondo la genetica, l’uomo condivide con i primati e gli antenati ominidi lo stesso grado di aggressività.

“Le radici della violenza: la ricchezza senza lavoro, il piacere senza coscienza, la conoscenza senza carattere, il commercio senza etica, la scienza senza umanità, il culto senza sacrificio, la politica senza princìpi”. Così affermava il pioniere della pace Mahatma Gandhi a proposito della violenza, attribuendo ad essa un significato puramente culturale e non naturale. Scienziati, ma persino filosofi e pensatori, hanno dibattuto a lungo sull’origine della brutalità umana. L’uomo nasce buono o terribilmente cattivo? La violenza è innata o deriva da fattori socio-culturali? Probabilmente, entrambe le affermazioni sono vere.

I ricercatori spagnoli hanno valutato la propensione a uccidere non solo negli uomini, ma in tutti i mammiferi nel corso della loro storia evolutiva. Il tasso di aggressività è stato calcolato in base al rapporto tra le uccisioni intra-specie e il totale delle morti avvenute in un dato periodo. Il risultato di queste proporzioni ha portato l’equipe spagnola a constatare che, effettivamente, le varie specie animali presentano diversi livelli di aggressività. Lepri, balene e pipistrelli, ad esempio, si uccidono raramente tra loro poiché sono animali solitari, che hanno poche occasioni di entrare in conflitto. Al contrario, gli animali portati all’interazione sociale e alla difesa del territorio (come le grandi scimmie), manifestano un comportamento più bellicoso. Di conseguenza, risulta scontato che tra il genere umano, caratterizzato da altissima socialità e territorialità, si verifichino più omicidi.

Anche la società e la cultura hanno un forte ascendente sul carattere dell’homo sapiens. Il team guidato Gomez, ha calcolato il numero degli omicidi avvenuti nel Paleolitico, constatando che esso fosse coerente con la nostra filogenesi, quindi simile al numero registrato tra i primati. All’inizio della nostra storia il tasso di delitti rimase stabile (intorno al 2%) per poi cambiare notevolmente. Dapprima salì, successivamente iniziò a diminuire fino a raggiungere i minimi storici negli ultimi 100 anni. Per spiegare questa variabilità la sola genetica non è sufficiente. “La società e l’ambiente possono influenzare profondamente la tendenza alla violenza” ha specificato Mark Pagel, esperto dell’evoluzione del comportamento della University of Reading del Regno Unito. “Oggi il tasso di omicidi è così basso soprattutto per l’influenza della legge, della polizia, e del giudizio pubblico”. Se è la natura a farci dono delle nostre tendenze, sono poi la società e l’ambiente in cui viviamo a plasmare il nostro modo di agire, inibendo l’istinto primordiale. L’uomo è intrinsecamente un assassino? Probabile, ma la possibilità che l’impulso si trasformi in azione è inscindibilmente legata alle regole e ai piaceri della collettività.