Marijuana in gravidanza: rischi crescita fetale e sviluppo cognitivo

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L’uso di marijuana in gravidanza avrà delle conseguenze sul nascituro: ecco le ricerche degli ultimi anni portate alla luce per svelare, almeno in parte, un nuovo lato del consumo cronico di cannabis sulle funzioni biologiche dell’organismo umano e capire cosa può comportare nello sviluppo cognitivo di un individuo dal periodo prenatale al postnatale. Anzitutto, va chiarito che gli studi di quest’anno sono nati proprio dopo la registrazione negli usa di un incremento di donne incinte tra i consumatori cronici di questa droga, ma la scoperta maggiore è già stata fatta nel 1989, uno studio svolto da un’equipe inglese. Il The New England Journal of Medicine pubblicò all’epoca la ricerca attribuita al Dipartimento di Pediatria dello Sviluppo e del Comportamento e di Ostetrica ed al Dipartimento di Ginecologia della Boston School of Medicine (ed altri enti collaboratori). Dall’analisi delle urine su un campione di 1226 madri in gestazione, prelevate da una clinica prenatale generica e seguite fino al momento del parto, l’8% risultò positivo al consumo di marijuana.

I loro figli appena nati furono confrontati su variabili biologiche con quelli delle madri che non avevano fatto uso di questa droga in gravidanza. Rispetto ai nascituri di queste ultime, la differenza riscontrata fu di – 79 g sul peso e – 0.5 cm sull’altezza, tali elementi furono registrati come “crescita fetale alterata”, considerata all’epoca la prova definitiva dell’influenza della marijuana in qualità di “marchio biologico”, come gli stessi scienziati lo definirono, sullo sviluppo dell’embrione. Quanto invece emerge ai giorni nostri è stato ricavato da due analisi retrospettive che hanno considerato campioni ben più ampi di un migliaio di soggetti: la più recente, datata appena al mese scorso, contava più di 6,000 donne incinte. In tal caso, si è tentato di valutare la maggior parte delle possibilità, quali parto pretermine, aborto spontaneo, restrizione della crescita fetale. I risultati non sono stati allarmanti, ma hanno confermato quanto detto fino al secolo scorso: la marijuana non costituisce un rischio in termini di mutazioni del normale sviluppo biologico del feto, ma aumenta il rischio che subisca un ricovero nell’unità di terapia intensiva neonatale, a causa dell’anticipazione del termine della gravidanza, poiché in linea generale un parto prematuro può portare diverse complicazioni anche a livello neurologico.

Da questo punto i risultati della ricerca diventano contrastanti, ma considerando tutti i fattori in gioco queste conseguenze possono portare ad alcune sottili alterazioni dello sviluppo cognitivo: l’attività cerebrale del nascituro durante il sonno è risultata diversa da quella di quelli le cui madri non hanno fatto uso di questa droga durante la gravidanza. L’alterazione del ritmo sonno-veglia è peraltro uno dei sintomi dell’abuso di marijuana, ma in seguito a questi elementi si pensa che tali bambini possano avere durante la crescita dei problemi di concentrazione, iperattività, aggressività. Anche il medico tedesco ed attivista pro-cannabis Franjo Grotenhermen ha ammesso che “vi è prova di sottili disturbi dello sviluppo cerebrale, risultanti in una debolezza cognitiva nei discendenti degli utilizzatori di cannabis. Alcuni scienziati assumono che simili disturbi esistano, mentre altri credono che la cannabis non produca effetti negativi rilevanti. Eventuali disordini cognitivi sottili, collegati alla marijuana, non possono essere osservati prima dell’età per l’asilo o la scuola” – e questo blocca la ricerca a causa dei molteplici fattori che intervengono durante la crescita – “Per quanto possibile, la cannabis andrebbe evitata durante la gravidanza e l’allattamento a causa delle prove contraddittorie di sottili disturbi dello sviluppo cognitivo.”

Come affermato dallo stesso attivista, tutto dipende da quanto sono considerate rilevanti le alterazioni dello sviluppo cerebrale nei nascituri, dai fattori che ne determineranno la crescita durante l’infanzia e potranno dunque aggravarne debolezze già affermatesi oppure facilitarne la compensazione. Il rischio è comunque dietro l’angolo, nonostante la questione si focalizzi più sull’entità che non sulla sua presenza in sé. Non ci resta che attendere maggiori sviluppi in campo medico e neuroscientifico, che potranno chiarire la situazione ed eventualmente mettere in guardia le nuove generazioni, se occorrerà.