Everest: la missione della vita narrata da Baltasar Kormakur

Everest

“Everest” è il film uscito nelle sale italiane il 24 Settembre dopo essere approdato in quelle statunitensi il 18. Girato dall’islandese Kormakur, “Everest” è un film girato in Nepal, in Alto Adige, a Roma e nel Regno Unito, con un budget di 65 milioni di dollari. Della durata di 2 ore circa e tratto da “Aria Sottile”, un saggio del 1997 scritto da Jon Krakauer, ha aperto “fuori concorso” la 72a Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia il 2 Settembre scorso. “Everest” racconta della spedizione sulla vetta a 8.848 metri intrapresa nel 1996 da un gruppo di alpinisti.

Alla base di tutte le ascese verticali di qualunque genere c’è la voglia “umana” di voler andare sempre più in alto, un metro sempre più su e poi un altro ancora; il concetto che vale per tutti i tipi di imprese volte al raggiungere altezze “difficili” sta alla base di “Everest”, pellicola tratta da una storia vera, che purtroppo non è l’unica che ha visto morire scalatori sulla vetta più alta. Per gli addetti ai lavori la vetta dell’Everest è il compimento di una vita, un’impresa che difficilmente, salvo pochi “eletti”, riesce più di una volta nella propria esistenza, anche per motivi fisici ed organizzativi. Ed è ovvio che “Everest” descriva fin da subito quello che è il rischio di una scalata siffatta, quel rischio che mette a repentaglio la vita stessa di chi sceglie di sfidare le leggi di grandezza, che vedono nel monte Everest un obiettivo quasi inarrivabile.