Viva l’Italia: i paradossi della parata del 2 giugno

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Il due giugno è una festa istituita per ricordare il giorno in cui gli italiani scelsero nel 1946, attraverso un referendum (votarono per la prima volta anche le donne), se rimanere una Monarchia Costituzionale o diventare una Repubblica Parlamentare. Il risultato elettorale fu a favore di quest’ ultima opzione, vincente con uno scarto di appena due milioni di voti. Un risultato piuttosto deludente che fotografò, già allora, un Paese diviso territorialmente e socialmente. Il grosso dei consensi alla Monarchia arrivò dal Sud, contrapposto ad un Nord fortemente repubblicano. Nella stessa consultazione furono eletti i componenti dell’ Assemblea Costituente che avviarono la scrittura della nostra Costituzione.

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Bisogna andarsi a rileggere la storia del Risorgimento in Italia per comprendere molti dei problemi e dei mali che affliggono il nostro Paese. A partire dai moti carbonari, nati a Napoli nel 1814 per opporsi alla politica filo napoleonica di Gioacchino Murat, continuando con le successive Guerre d’ Indipendenza, l’ Italia ha vissuto un travagliato processo d’ unificazione. Uno dei problemi individuato dalla storiografia risale alla mancata partecipazione delle masse contadine ai moti di liberazione dalla dominazione austriaca e borbonica. Successivamente alla faticosa unificazione della penisola sotto il regno sardo piemontese, Cavour realisticamente scriveva che non solo gli Italiani, ma neppure l’ Italia era “fatta”: “Il mio compito è più complesso e faticoso che in passato. Fare l’ Italia, fondere assieme gli elementi che la compongono, accordare Nord e Sud, tutto questo presenta le stesse difficoltà di una guerra con l’ Austria e la lotta con Roma”. 

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La nuova Italia aveva messo assieme popolazioni eterogenee per storia, lingue parlate, tradizioni ed usanze religiose (la sensibilità e gli usi legati al cattolicesimo erano differenti nelle varie parti d’ Italia). Per rimarcare queste differenze e prospettare un sentimento razzista verso il Sud, viene spesso citato un commento di Luigi Carlo Farini, che inviato da Cavour a Napoli in qualità di Luogotenente il 27 ottobre 1860, gli descriveva la situazione in una lettera con queste frasi: «Ma, amico mio, che paesi son mai questi, Il Molise è Terra di Lavoro! Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica. I beduini, a riscontro di questi caffoni, sono fior di virtù civile. Il Re dà carta bianca; e la canaglia dà il sacco alle case de’ Signori e taglia le teste, le orecchie a’ galantuomini, e se ne vanta, e scrive a Gaeta: “i galantuomini ammazzati son tanti e tanti; a me il premio da ricevere”. Anche le donne caffone ammazzano; e peggio: legano i galantuomini (questo nome danno a’ liberali) pe’ testicoli, e li tirano così per le strade; poi fanno ziffe zaffe: orrori da non credersi se non fossero accaduti qui dintorno ed in mezzo a noi». Tuttavia, osserva De Francesco, il commento di Farini era circostanziato alla descrizione della ferocia con cui i seguaci di Ferdinando II uccidevano i patrioti italiani.

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Scriveva Antonio Gramsci sulle “Quistione meridionale“: “La borghesia settentrionale ha soggiogato l’ Italia meridionale e le isole e le ha ridotte a colonie di sfruttamento; il proletariato settentrionale, emancipando se stesso dalla schiavitù capitalistica, emanciperà le masse contadine meridionali asservite alla banca ed al industrialismo parassitario del Settentrione.” La possibilità che un Paese come l’ Italia, con situazioni così radicalmente problematiche, un territorio frantumato e diviso linguisticamente e socialmente, potesse dar vita ad una Nazione coesa, solidale e unita erano veramente minime. Così, per 150 anni, l’ Italia si è trascinata la Questione Meridionale con la malavita organizzata e i profondi squilibri che hanno condizionato il proprio sviluppo socio economico, dando a carrozzoni burocratici e statali, fonti di clientele e mafie (vedi la Cassa per il Mezzogiorno).

Non avendo un vero progetto industriale per colmare il divario Nord-Sud, la classe politica del Dopoguerra in Italia ha pensato che bisognasse procedere ad un processo forzato d’ industrializzazione delle aree meridionali. Sono nate così, le cattedrali nel deserto: Gioia Tauro, l’ Alfa Romeo,l’ Ilva di Taranto e altre strutture sganciate dal territori e piazzate su di esso come astronavi aliene atterrate su un nuovo pianeta. Forzando il processo di crescita economica con simili iniziative, senza creare una rete infrastrutturale adeguata e capillare fatta di efficienti vie di comunicazione e piccole e medie imprese diversificate per attività produttive, e senza mettere in luce il settore turistico sfruttando le bellezze delle nostre terre meridionali, non si è riusciti a sviluppare economicamente i territori e a colmare il profondo divario con il Nord. Le mafie sono prosperate indisturbate e il flusso dei fondi pubblici è stato drenato dal malaffare e distribuito sotto forma di una acefala economia amministrativa di tipo assistenziale. Le strutture pubbliche sono state assalite da assunzioni clientelari, insieme a forme di sussidi pubblici nascoste sotto forma di pensionamenti di dubbia natura.

Il Sud Italia si è mantenuto in equilibrio attraverso un patto scellerato tra la classe politica e amministrativa, le organizzazioni malavitose presenti in tutti i gangli dello Stato e l’ imprenditoria locale. Le risorse venivano distribuite facendo in modo che si conservasse una sostanziale “pace sociale” tra i diversi interessi e che il flusso dei consensi garantisse il permanere della classe dirigente politico-amministrativa. Dopo Tangentopoli, con lo “scoperchiamento” di gran parte del marciume istituzionale, si è rotto il patto tra Stato, mafia ed imprenditoria. Ciò ha dato il via, in Italia, ad una stagione di delitti eccellenti e bombe quali avvertimenti a non toccare o alterare i vecchi equilibri, che avevano per decenni garantito profitti e potere.

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Si tratta di una storia ancora tutta da scrivere e da approfondire, perché sembra proprio che lo Stato avesse intavolato una vera e propria trattativa con i gruppi criminali presenti in Italia, i quali chiedevano di fermarne l’ azione repressiva e l’ inasprimento legislativo in atto. Il ventennio berlusconiano è stata poi la manna per queste ferocissime e sanguinarie organizzazioni. Questo lungo periodo ha favorito la salvaguardia dei gruppi criminali, garantendone la sostanziale impunità. A fronte dei successi sbandierati dai forzisti contro queste organizzazioni, nello scellerato periodo dell’ ascesa al potere dell’ uomo di Arcore, in realtà, si è assistito ad un incredibile proliferare di cricche e malaffare degne o addirittura superiori al periodo della Prima Repubblica d’ Italia, malaffare che sta riemergendo come acqua putrida dal fondale del nostro Paese.

Ogni giorno emergono corruzione e delinquenza che faranno rivoltare nella tomba gli eroi del nostro Risorgimento i quali, spinti da ideali luminosi di solidarietà e valori morali e patriottici, hanno dato la vita alla costruzione di questa strana e meravigliosa Italia. Per molti anni ancora, però, assisteremo a questo tintinnio di manette, ad arresti eccellenti, ai furbi che non pagano le tasse e portano i soldi all’estero, che hanno il Suv e la barca – dichiarando solo mila euro all’anno -, alle inaccettabili diseguaglianze di reddito, opportunità e realizzazione sociale che dividono profondamente le generazioni e le persone di questo Paese.  Quando diventeremo uno Stato civile e diventeremo finalmente capaci di intervenire su queste profonde ingiustizie, allora la parata e le commemorazioni del due giugno in Italia avranno assunto un significato pieno e in linea con i valori dei nostri padri fondatori.