Ecco perché è impossibile combattere la corruzione in Italia

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Corruzione in Italia – Ancora arresti eccellenti legati a mazzette per appalti e a favoritismi a loschi personaggi. Il nostro paese svela al mondo per l’ennesima volta la propria mancanza di cultura della legalità dimostrando quanto sia profondo e radicato il malaffare. In ogni ambito della vita associata: ci si muove con il sotterfugio, gli ammiccamenti, l’arricchimento illecito, la volontà di scavalcare l’altro, le consorterie, le massonerie, le trame, le mafie, le fatturazioni in nero, l’evasione e l’elusione fiscale, i monopoli, gli oligopoli e le rendite di posizione.

Mali che sembrano, ormai, parte integrante del DNA italiano e provengono dalla nostra storia e dalle modalità con cui questo paese si è unito ed è diventato comunità nazionale, caratteristiche di un Paese che non sopporta le regole al punto di lasciare esterrefatti e interdetti gli osservatori internazionali. Tra i reporter esteri che si trovavano in attesa dell’arrivo di Silvio Berlusconi, fuori dalla Sacra Famiglia di Cesano Boscone, ne è stato intervistato uno dal TG3, il quale affermava come fosse straordinario per lui vedere un ex-Presidente del Consiglio dei Ministri condannato a svolgere il servizio sociale, in una casa di cura, dopo aver gestito un potere immenso ed essere annoverato tra gli uomini più ricchi d’Italia. Una stranezza impensabile in altri Paesi. Insieme all’ex ministro Scaiola e al gruppo dirigente dell’Expo, a imprenditori e faccendieri di antica memoria, non meno sconvolgenti appaiono gli arresti di 4 super dirigenti della Mens Sana Basket e del presidente della Lega Basket nazionale Ferdinando Minucci (sarebbe dovuto entrare in carica il primo di luglio). In questo filone d’indagini, s’ipotizzano pagamenti in nero grazie a triangolazioni anche con società estere, con fatture false e fondi mai dichiarati al fisco. Con i soldi nascosti sarebbero stati pagati e ingaggiati, secondo l’accusa, una ventina di giocatori, con pagamenti effettuati all’estero. Una truffa da 60 milioni.

Ma guardiamo i numeri di questo devastante fenomeno: il valore dell’economia illegale viene stimata attorno ai 420 miliardi di euro l’anno. Il 40% viene prodotto dal sistema mafioso: 170 miliardi di euro l’anno, un dato che ritroviamo anche nella relazione 2009 della Direzione distrettuale antimafia. Si tratta della somma dei PIL di Estonia, Romania, Slovenia e Croazia. La corruzione “vale” 60 miliardi di euro l’anno, e poi c’è l’evasione fiscale: nel 2012 sono stati sottratti all’imponibile 55 miliardi di euro di redditi, il 46% in più rispetto al 2011. Possiamo dire che esistono tre PIL: quello ufficiale, quello sommerso e quello criminale. Come se ne esce? Perché esiste una corruzione così diffusa e un così debole senso civico? Come mai esistono organizzazioni criminali così potenti e radicate? Perché facciamo di tutto per non pagare le tasse, non rispettiamo il patrimonio pubblico, appena possibile ci comportiamo da furbetti, non avvertiamo la sensazione di far parte di una nazione, siamo pronti a credere negli uomini della provvidenza e ci identifichiamo nella nostra comunità solo quando gioca la nazionale di calcio? 

Un motivo fondamentale alla base di questi mali va ricercato nella debolezza della nostra coscienza nazionale figlia di un paese nato male, diviso, giovane storicamente, con una struttura di potere economico e politico che non ha combattuto le mafie e le consorterie e le ha inglobate nel sistema legittimandone l’esistenza. Tutto ciò ha dato vita a un particolare sistema di valori che vede nel familismo amorale e nella cura del proprio orticello, i principi guida della vita associata. Un grande ruolo lo giocano anche i livelli culturali e le percentuali di scolarità notoriamente più bassi rispetto al gruppo dei paesi OCSE. Debole risulta, anche, il collante culturale e linguistico. Solo nel 2006 coloro che parlano sempre in italiano sono diventati la maggioranza relativa (45,5%), superando di pochissimo quelli che usano sia l’italiano che il dialetto (44,1%) e distanziando nettamente quelli che si esprimono sempre in dialetto (5,4%), i quali erano ancora la maggioranza non un secolo fa, nel 1982 (36,1%).

Storicamente, l’Italia è sempre stata considerata poco più che un’espressione geografica, divisa in staterelli con a capo famiglie di nobili rapaci e dalla visione miope, in preda a lotte intestine di potere per accaparrarsi piccole fette di territorio. Il Guicciardini, nel cinquecento, parlava del nostro amore per il “particulare  a cui si deve attenere il saggio, cioè il proprio interesse inteso nel suo significato più nobile come realizzazione piena della propria intelligenza e della propria capacità di agire a favore di se stesso, di curarsi dei piccoli interessi della famiglia, del castello, del borgo, ma così incapace di uno sguardo più esteso, di un respiro, di orizzonti più ampi. Il Guicciardini aveva individuato uno dei mali tipici dell’italianità. Secoli precedenti, Dante inveiva: “Ahi serva Italia, di dolore ostello“.  Carducci dichiarava: ” A questa nazione, giovine di ieri e vecchia di trenta secoli, manca del tutto l’idealità”, fino ad antonio Gramsci che lamentava: “un individualismo pronto a confluire nelle “cricche, le camorre, le mafie, sia popolari sia legate alle classi alte“. Leopardi aveva individuato: ” nella mancanza di una vera società” una della cause di molti mali della società italiana, così scriveva: ” così nelle dette nazioni (fuori dall’Italia) la società producendo buon tuono produce la maggior anzi unica garanzia de’ costumi sì pubblici che privati che si possa ora avere, e quindi è causa immediata della conservazione di sé medesima”

Dopo l’unificazione, avvenuta dall’alto e non dal basso, si capì subito quanto forte fosse la mancanza di una classe dirigente capace e all’altezza dei compiti.  Lo storico e saggista Giacinto De Sivo nel 1861 pubblicò:  L’Italia e il suo dramma politico, in cui colloca i combattenti post unitari contro l’invasione piemontese tra i partigiani, piuttosto che tra i briganti, come erano definiti dai sostenitori dell’unità nazionale:

« Briganti noi combattenti in casa nostra, difendendo i tetti paterni, e galantuomini voi venuti qui a depredar l’altrui? Il padrone di casa è brigante, e non voi piuttosto venuti a saccheggiare la casa? »  

 

Opinione diffusa tra la grande maggioranza dei meridionalisti e condivisa anche da una parte rilevante degli storici, economisti e intellettuali contemporanei è che l’inadeguatezza (o, per alcuni, il completo fallimento) della politica governativa della nuova Italia e delle sue classi dirigenti nei confronti, soprattutto del Mezzogiorno, abbia in vario modo impedito, compromesso o rallentato uno sviluppo organico sia economico, sia sociale. Generalmente condivisa dai meridionalisti, da molti storici ed economisti è anche l’opinione secondo la quale la politica dello Stato italiano, in particolare nel Sud del paese sia stata sempre fortemente condizionata dalle istanze di una serie di gruppi d’interesse (fra cui quelli dei proprietari terrieri, della finanza nazionale e internazionale e della grande industria) e dalle varie forme di consociativismo fra i centri del potere nazionale e le oligarchie locali, che spesso hanno assunto chiare connotazioni di illegalità.  Cavour ben sapeva come si fosse giunti all’unificazione in soli due anni grazie all’aiuto di circostanze favorevoli interne ed internazionali attraverso una forzatura storica, e un miracolo italiano.

Il risultato è che la Corruzione, la criminalità, le truffe, i crac, l’evasione fiscale sottraggono ai cittadini centinaia di miliardi ogni anno e la possibilità di vivere in un paese migliore. Si tratta di costi devastanti sopportati dalla comunità nazionale, figli di una totale mancanza di senso civico e di un patto sociale che rivela punti gravissimi di debolezza avendo alle spalle i mali storici sopra accennati figli della nostra debole e fragile unità nazionale e politica.