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Siamo davvero felici? Ecco come il capitalismo ci rende schiavi

Siamo davvero felici? Le misure di felicità sono disponibili per moltissimi paesi e in diversi casi riguardano lunghi periodi storici. Questi dati raccontano una verità scomoda: nel secondo dopoguerra in occidente la soddisfazione che gli individui provano per la propria vita non ha registrato miglioramenti significativi.

I confronti del livello medio di felicità tra i vari paesi, inoltre, mostrano che spesso la gente nei paesi poveri sembra più felice che in quelli ricchi. Nei primi posti compaiono paesi come la Nigeria, il Vietnam, il Messico e la Colombia. Ciò che emerge da tutto ciò è che il denaro non compra la felicità e questo nonostante l’enorme acceso ai beni di consumo e l’aumento esponenziale dei redditi. Le cause di tutto ciò sono legate al peggioramento della qualità dell’esperienza relazionale degli individui. Nessuna nostalgia ruralista o di ritorno ad un mitico passato in cui vi erano catene sociali terribili e mancanza di libertà, ma la tesi che voglio sostenere è che sia necessario creare una società coesa, ma al tempo stesso libera in cui gli individui possano vivere godendo di qualità relazionali importanti a scapito di assurdi consumi e corse al denaro che portano solo alla solitudine e alla depressione suicida.

La società capitalistica e guidata dal sogno americano che ha alla propria base l’idea che bisogna recintare nella propria sfera privata ogni elemento di bene, di fare quanti più soldi possibili e non curarti del resto. Si tratta della religione del secolo e di un messaggio sociale molto potente. Il risultato è che nel pese più potente del mondo la felicità è in forte regresso e che il sogno americano si sta rilevando profondamente nefasto. E’ evidente che stiamo usando nel modo sbagliato le enormi potenzialità create dal benessere materiale e che la nostra organizzazione economica e sociale sia impostata in una direzione sbagliata.

Il principale motivo della caduta degli indicatori della felicità nelle società occidentali (di cui gli stati uniti rappresentano il modello all’apice), riguarda, come già accennato, al devastante declino delle relazioni. Gli indicatori segnalano un aumento della solitudine, delle difficoltà comunicative, della paura, del senso d’isolamento, della diffidenza, dell’instabilità delle famiglie, delle fratture generazionali, una diminuzione della solidarietà e dell’onesta, della partecipazione sociale e civica e di un generale peggioramento del clima sociale. Crisi sociale e dinamismo economico sono in qualche modo correlati? Secondo l’approccio NEG (Negative Endogenous Growth, crescita endogena negativa) la risposta è positiva perché la crescita e economica può essere la causa e la conseguenza del degrado relazionale. Il denaro offre molte forme di protezione – reali o illusorie – dalla povertà di relazioni. Se gli anziani sono soli e malati la soluzione è una badante. Se i nostri bambini sono soli la soluzione è una baby sitter. Se abbiamo ormai pochi amici e la città è divenuta pericolosa possiamo passare le nostre serate a casa dopo esserci comprati ogni sorta di divertimento casalingo (il cosiddetto Home entertainment): Se il clima frenetico e invivibile delle nostre vite e delle nostre città ci angustia, una vacanza in qualche paradiso tropicale ci risolleverà. Se litighiamo con i nostri vicini, le spese per un avvocato ci proteggeranno dalla loro prepotenza. Se non ci fidiamo di qualcuno, possiamo farlo controllare. Se abbiamo paura, possiamo proteggere i nostri beni con sistemi d’allarme, porte blindate, guardie private ecc. Se siamo soli, o abbiamo relazioni difficili e insoddisfacenti, possiamo cercare un riscatto identitario nel consumo, nel successo, nel lavoro. La pubblicità s’incarica di ricordarci ossessivamente che se temiamo di non essere soci di questa società, di essere esclusi, perdenti, sfigati, la rassicurazione per le nostre paure è nel comprare: “consumo dunque sono”. Nella pubblicità i prodotti sono i sostituti dell’amore. In questo mondo dorato i prodotti si amano e ricambiano il nostro amore, mentre nella vita reale essi si ostinano a non manifestare alcun sentimento. Tutti questi beni ci difendono dal degrado di ciò che prima era libero e gratuito: la comunità di quartiere, un tessuto sociale fatto di solidarietà e amicizie, da fiducia e conoscenza tra vicini a da una città vivibile.

Il risultato è che dobbiamo lavorare sempre di più per ottenere il denaro necessario a difenderci dagli effetti nefasti del degrado relazionale con il risultato che questo eccesso di lavoro, ci allontana sempre di più dagli altri alimentando una spirale negative che porta alla famosa e tanto aspirata, crescita economica. Emerge così, florida l’economia della solitudine e della paura.

Il meccanismo che si innesta in questa spirale è la crescente ricchezza privata contrapposta ad una crescente povertà di ciò che è comune: le relazioni e l’ambiente.

Dobbiamo cambiare i nostri valori perché è la cultura consumistica alla base di questo disastro sociale. La cultura del consumo è quanto di peggio possa esistere per le relazioni. Chi da più importanza ai consumi, infatti tende a dare una priorità a valori esterni al proprio essere e non a valori interni, Il consumista da valore al denaro, ai beni di consumo e al successo, ma ne da pochissimo, o quasi niente, ai valori relazionale, agli affetti e ai comportamenti pro-sociali.

L’errore alla base della cultura consumistico-capitalistica è proprio questo. La felicità la si raggiunge stando insieme agli altri, curando gli affetti e le reazioni, condividendo con i propri simili le gioie e le inevitabili amarezze del nostro percorso esistenziale, costruendo un ambiente di vita in cui la socialità e non i beni di consumo che sono fini a se stessi e perdono rapidamente d’importanza, siano le priorità, in cui gli individui si sentano partecipi dell’organizzazione sociale e s’interessano attivamente alle scelte politiche avendo la possibilità d’incidere. Se continuiamo a farci bombardare dalla spinta ossessiva al consumo e ne seguiamo i dettami, non saremo mai veramente felici e continueremo a seguire un percorso sbagliato che ci porterà in un vicolo cieco fatto di solitudine e infelicità. Bisogna cambiare in fretta i valori che sono alla base della nostra convivenza civile creando un economia con obiettivi pro sociali che metta al centro l’essere umano con i suoi fondamentali bisogni esistenziali.