Tibet, militari sparano sulla folla: rifiutano di issare la bandiera cinese

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Tibet. La repressione degli interventi anti-dittatoriali da parte della popolazione tibetana, che ha rifiutato di issare la bandiera cinese, è stata attuata nel sangue: la polizia ha sparato sulla folla disarmata a sangue freddo. La lotta nel Paese si fa sempre più tragica: basti ricordare i migliaia di cittadini auto-immolatisi per la propria libertà dal regime dittatoriale cinese, addirittura dandosi fuoco e correndo per le strade delle loro città (dal 2011 sono stati 121 i morti). Nel caso odierno, si tratta della prefettura di Nagchu, regione occupata dai cittadini ribellatisi al controllo cinese. Le autorità hanno da qualche tempo imposto ai locali di issare la bandiera cinese come segno di obbedienza al governo, eppure questi si rifiutano di sottomettersi, sfilando in manifestazioni pacifiche. E’ accaduto domenica scorsa, il primo scontro tra la polizia ed i locali: per far disperdere la folla, i militari hanno sparato su di essa. I manifestanti chiedono, inoltre, la liberazione di uno di loro, Dorje Draktsel, arrestato dalle autorità. Il tragico evento si è ripetuto nuovamente martedì, con le prime 4 vittime da quando le manifestazioni hanno avuto inizio. Nell’area di Sengthang, le autorità hanno sequestrato mezzi di comunicazione cellulare ed effettuato vari arresti, ai fini di impedire che i rivoltosi possano comunicare tra loro, ma la protesta continua anche in altre parti del Tibet. I residenti del Nagchu si sono dispersi in altre regioni del circondario, cercando di coinvolgere quanti più simpatizzanti possibile: ha inizio la caccia all’uomo, ora l’obiettivo solo quelli chiamati “turisti maschi“, in atto anche nella capitale, Lhasa. Quasi alla maniera degli antichi massoni, i manifestanti hanno messo insieme un codice segreto, tramite il quale comunicare, ma la fuga d’informazioni ha impedito l’efficienza di questo sistema ed è stato svelato in poco tempo. Le autorità si sono organizzate in modo da fermare il prima possibile la resistenza: i sospettati vengono pedinati dalla polizia, che informa la propria sede di ogni spostamento e movimento sospetto.